CASE IN SERIE – Le Corbusier, Verso una Architettura

 

Il programma è fissato. Loucheur e Bonnevay chiedono alla Camera una legge che decreti la costruzione di cinquecentomila alloggi a buon mercato. È una circostanza eccezionale negli annali dell’edilizia, circostanza che richiede parimenti mezzi eccezionali.

Ora tutto resta da fare; non c’è nulla di pronto per la realizzazione di questo immenso programma. Non esistono le condizioni spirituali.

Le condizioni spirituali per la costruzione di case in serie, l’abitazione di case in serie, la concezione di case in serie.

Tutto resta da fare; non c’è nulla di pronto. La specializzazione ha appena abbordato il campo dell’edilizia. Non ci sono né fabbriche, né tecnici specializzati.

Ma in un batter d’occhio, se tali condizioni nascessero, tutto sarebbe rapidamente messo in piedi. In effetti, in tutte le branche dell’edilizia, l’industria, potente come una forza naturale, irrompente come un fiume che scorre verso il suo destino, tende sempre più a trasformare i materiali grezzi che la natura offre, e a produrre quelli che si chiamano ’’nuovi materiali”. Essi sono moltissimi, cemento e calce, ferro profilato, ceramica, materiali isolanti, tubature, minuterie e condotti impermeabili, eccetera eccetera. Tutto questo arriva per il momento alla rinfusa davanti agli edifici in costruzione, viene sistemato in modo improvvisato, costa una mano d’opera enorme, fornisce soluzioni bastarde. Perché i diversi componenti che si impiegano non sono stati realizzati in serie. Perché, non esistendo ancora le condizioni di spirito, non ci si è impegnati in uno studio razionale degli oggetti e soprattutto nello studio razionale della tecnica costruttiva stessa. Lo spirito di serie è odioso agli architetti e agli abitanti (per contagio e persuasione). Pensate: si arriva proprio e tutti trafelati al r-e-g-i-o-n-a-l-i-s-m-o! Uffa! E la cosa più comica è che a condurci è la devastazione del paese invaso. Davanti al compito immenso della ricostruzione si è andati a staccare dalla sua panoplia il flauto di Pan e o si suona, lo si suona nei comitati e nelle commissioni. Poi si votano le risoluzioni. Questa a esempio, che merita di essere citata: far pressione sulla Compagnia delle Ferrovie del Nord per obbligarla a costruire sulla linea Parigi-Dieppe trenta stazioni stili diversi, poiché le trenta stazioni, che i direttissimi bruciano una dopo l ‘altra, hanno ognuna una collina e un melo che la abbelliscono e che rappresentano il suo carattere, la sua anima, eccetera. Fatale flauto di Pan!

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Immagine tratta dal libro “Verso una architettura” di Le Corbusier

I primi effetti dell’evoluzione industriale. nell’edilizia si manifestano in questa tappa primordiale: la sostituzione dei materiali naturali con i materiali artificiali, dei materiali eterogenei e discutibili con i materiali artificiali omogenei e provati in verifiche di laboratorio e prodotti con elementi stabiliti. Il materiale artificiale deve sostituire il materiale naturale, variabile all’infinito. D ‘altra parte le leggi dell’Economia reclamano i loro diritti: i profilati metallici e, più recentemente, il cemento armato sono pure manifestazioni di calcolo che impiegano la materia in modo totale ed esatto; mentre la vecchia trave di legno può nascondere qualche nodo traditore e la sua squadratura conduce a una considerevole perdita di materia. Infine, in certi campi, i tecnici hanno ormai parlato. I servizi dell’acqua o dell’illuminazione sono in evoluzione rapida; il riscaldamento centrale ha preso in considerazione la struttura dei muri e delle finestre – superfici raffreddanti – e, per conseguenza, la pietra, la buona pietra naturale in muri di un metro di spessore si è vista soppiantata da leggere putrelle doppie e scorie di ferro e così di seguito. Delle entità, quasi divinità, sono cadute in disgrazia: i tetti che non hanno più b1sogno di essere inclinati per evacuare l’acqua; i grandi e bei vani delle finestre che ci danno fastidio perché chiusi fra i muri ci portano via luce;  le travi massicce di legno spesse quanto si voleva, solide per l’eternità: non è più vero perché si spaccano in presenza di un radiatore, mentre il metallo placcato di tre millimetri di spessore resta intatto, eccetera. Si vedevano nei bei giorni andati (ma questo dura ancor oggi purtroppo) dei robusti cavalli che portavano nei cantieri enormi pietre, e molti uomini per scaricarle dal carro, per spezzarle, tagliarle, metterle sulle impalcature, ordinarle, verificando a lungo, metro alla mano, le loro sei facce; una casa si costruiva in due anni oggi, si costruiscono degli immobili in qualche mese; il P.-O sta per terminare il suo immenso impianto di refrigerazione di Tolbiac. Nel cantiere non sono entrati per l’occasione che dei granelli di sabbia e di scorie di ferro grandi come nocciole; i muri sono sottili come membrane; in questo edificio ci sono delle masse molto pesanti, ecco: muri sottili per proteggere contro le differenze di temperatura e putrelle di undici centimetri per reggere enormi pesi. Le cose sono davvero cambiate!

La crisi dei trasporti ha posto problemi drastici; ci si è accorti che le case rappresentavano un tonnellaggio formidabile. Se si fosse diminuito di quattro quinti questo tonnellaggio? Ecco un modo di pensare moderno.

La guerra ha scosso i torpori; si è parlato di taylorismo; si è passati ai fatti. Gli imprenditori hanno acquistato macchine ingegnose, pazienti e agili. I cantieri saranno presto delle officine? Si parla di case colate dall’alto con cemento liquido, in un giorno, come si riempirebbe una bottiglia. E per dirla in breve, dopo aver fabbricato nelle officine tanti cannoni, aerei, camion, vagoni, ci si chiede: non si potrebbero fabbricare delle case? Ecco un modo di pensare congeniale ai tempi nuovi. Non c’è nulla di pronto, ma tutto può essere pronto. Nei vent’anni a venire, l’industria allineerà materiali di serie, simili a quelli della metallurgia; la tecnica porterà ben oltre la nostra esperienza attuale i sistemi di riscaldamento e di illuminazione e la razionalità delle strutture. I cantieri non saranno più apparizioni sporadiche dove tutti i problemi si complicano e si intasano; l’organizzazione finanziaria e sociale risolverà, con metodi concertati e potenti, il problema dell’abitazione, e i cantieri saranno immensi, gestiti come delle amministrazioni. Le lottizzazioni urbane e suburbane saranno vaste e ortogonali e non più disperatamente irregolari; permetteranno così l ‘impiego dell’elemento di serie e l’industrializzazione dei cantieri. Infine si cesserà forse di costruire “su misura”. La fatale evoluzione della società trasformerà i rapporti tra locatari e proprietari, modificherà la concezione dell’abitazione e le città saranno ordinate invece di essere caotiche. La casa non sarà più questa cosa spessa che pretende di sfidare i secoli ed è l’oggetto opulento attraverso il quale si manifesta la ricchezza; sarà uno strumento come l’automobile diventa uno strumento. La casa non sarà più una entità arcaica, pesantemente radicata al suolo da fondamenta profonde, costruita per “durare” e alla cui devozione sono stati fondati da lungo tempo il culto della famiglia, della razza, eccetera.

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Se ci si strappa dal cuore e dallo spirito la concezione immobile della casa e si guarda al problema da un punto di vista critico e oggettivo, si arriverà alla casa-strumento, casa in serie, accessibile a tutti, sana, incomparabilmente più della vecchia casa (anche da un punto di vista morale) e bella secondo l’estetica degli strumenti da lavoro che accompagnano la nostra esistenza.

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E sarà bella anche per l’animazione che il senso artistico può apportare ai suoi organi rigorosi e puri.

Ma bisogna creare la mentalità che consenta di abitare case costruite in serie.

Ognuno sogna legittimamente di costruirsi un tetto e di garantirsi la sicurezza dell’alloggio. Siccome allo stato attuale delle cose questo sogno è impossibile, irrealizzabile, esso provoca una vera e propria isteria sentimentale; costruirsi la casa è quasi come fare

testamento… Quando io costruirò la mia casa… metterò la mia statua nel vestibolo e la mia cagnetta Katty avrà la sua stanza. Quando io avrò il mio tetto, eccetera. Tema per un medico neurologo. Quando l’ora di costruire questa casa è suonata, non è l’ora del muratore né del tecnico, è l’ora in cui ogni uomo realizza nella sua vita un poema, più o meno riuscito. Allora noi abbiamo da quarant’anni nelle città e nelle periferie non delle case ma dei poemi, i poemi dell’estate di san Martino, perché la casa è il coronamento di una carriera … Quel momento in cui si è abbastanza vecchi e sfioriti dalla vita per essere la preda dei reumatismi e della morte… e delle idee bislacche.

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Problema di un nuovo spirito: ho quarant’anni perché non dovrei comprarmi una casa, dato che ho bisogno di questo strumento; una casa come la Ford che mi sono comprato (o la mia Citroen, poiché sono vanitoso.)

Collaboratori devoti: la grande industria, le officine specializzate.

Collaboratori da conquistare: le Ferrovie della periferia, le organizzazioni finanziarie, l’Ecole des Beaux-Arts trasformata.

Lo scopo: la casa in serie.

Coalizione: gli architetti e gli esteti, il culto immortale della casa.

I realizzatori: le imprese e i veri architetti.

La prova del nove: 1) il Salone dell’Aviazione; le città d’arte celebri (Procuratie, rue de Rivoli, place des Vosges, la Carrière, il castello di Versailles, eccetera: serie). Poiché la casa è in serie implica automaticamente dei progetti ampi e grandi. Poiché la casa in serie necessita dello studio attento di tutti gli oggetti della casa e della ricerca dello standard, del tipo. Quando il tipo è creato, si è alle porte della bellezza (I’automobile, il piroscafo, il vagone, l’aeroplano). Poiché la casa in serie imporrà l’unità degli elementi, finestre, porte, tecniche costruttive, materiali. Unità di dettaglio e grandi progetti di insieme, ecco ciò che nel secolo di Luigi XIV, nella Parigi composita, congestionata, inestricabile, inabitabile, reclamava un abate molto intelligente, Laugier, che si occupava di urbanistica: uniformità nel dettaglio, tumultuosa varietà dell’insieme (il contrario di ciò che facciamo noi: una varietà folle di particolari e un’uniformità malinconica di progetti di strade e di città).

Conclusione: si tratta di un problema del nostro tempo. Di più, del problema del nostro tempo. L’equilibrio sociale è un problema di edilizia. Noi concludiamo su questo dilemma difendibile: Architettura o Rivoluzione